E dopo? Diventeremo migliori, o continueremo a lavarci le mani?

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“E’ evidente, è sotto gli occhi di tutti. In quasi assenza di attività umane la natura si sta riprendendo i propri spazi, sta rinascendo. Il  miglioramento della qualità delle acque interne e marine, la riduzione dei rifiuti, la riduzione delle emissioni di inquinanti e delle relative concentrazioni in atmosfera, l’incremento di specie animali normalmente “insolite” all’interno dell’ambiente urbano

Per favore non chiamatela sostenibilità

Questa immagine, queste condizioni, certamente “attraenti” quasi bucoliche,  hanno portato diverse persone, anche autorevoli, ad invocare o auspicare un profondo e ineluttabile cambiamento nel sistema pianeta  che, partendo dalla condizione disastrosa in cui il virus ci ha costretto, possa avvicinarci rapidamente a questa “immagine” di maggiore sostenibilità. Ma quello che osserviamo oggi, a ben vedere, ha poco a che fare con la sostenibilità, a meno che per sostenibilità non si intenda un sistema in cui la razza umana si fermi o scompaia. Inutile infatti negare che quanto osserviamo ha a che fare con una decrescita quasi istantanea e infelice,  della maggior parte delle attività; una decrescita verticale, almeno nei paesi più colpiti, causata da uno shock esterno all’economia, molto lontana da qualsiasi orizzonte di sviluppo sostenibile, almeno per la razza umana. La riduzione dei consumi, la correlata riduzione della produzione di beni, l’inevitabile contrazione dei trasporti e la conseguente diminuzione delle emissioni in ambiente non possono essere così strumentalmente associate, in questa tragedia, al concetto di sostenibilità ambientale perché la stessa non può essere mutuata da un’istantanea scomparsa di una specie, sebbene certamente la più impattante, ma deve essere piuttosto raggiunta attraverso una modifica graduale, progressiva e altrettanto sostenibile del suo impatto attraverso comportamenti sostenibili.

Quale lezione

C’è allora qualche lezione che possiamo mettere a profitto da questa traumatica esperienza? Certamente sì. Ma non tanto per l’imminente ripartenza; perché questa  dovrà mirare ad obiettivi di sostenibilità secondo una graduatoria di priorità ben più stringenti. Nel voler fare riferimento, per comodità ma anche per metodo, ai ben noti obiettivi per lo sviluppo sostenibile (i famosi 17 SDGs) certamente continuerà a dover essere affrontata prioritariamente l’emergenza della salute pubblica a tutela del bene primario della vita umana, (obiettivo 3 – salute e il benessere) e occorrerà mirare a garantire un lavoro dignitoso nella necessaria crescita economica (obiettivo 8) attraverso innovazione e infrastrutture (obiettivo 9), ma anche (e altrettanto prioritariamente) mirare a ridurre se non sconfiggere la povertà (obiettivo 1) e contenere le disuguaglianze (obiettivo 10). Questi obiettivi prioritari richiederanno sforzi e risorse enormi da mettere in campo per combattere quanto la crisi del corona virus ha drammaticamente accentuato. Ma proprio per questo, c’è una chiara opportunità di indirizzare queste risorse anche nel senso di valorizzare –contestualmente – altre priorità, dirigendo la rotta d’uscita dall’emergenza attraverso un faro che punti ad un modello economico e di sviluppo più sostenibile del precedente.

Migliorare il modello economico

Bisogna allora dare prospettiva ad un modello economico che punti all’innovazione, a partire da quella tecnologica, con politiche adeguate di supporto alla ripresa del Paese, indirizzando i piani di investimento verso una concreta transizione che punti a modelli di produzione e di consumo basati su approvvigionamento ed utilizzo sostenibile delle risorse ma anche degli scarti, lungo la strada della decarbonizzazione e della circolarità, senza mai trascurare gli impatti sul sociale. La dura frenata impartita dalla pandemia può permettere oggi a molte più persone di riconsiderare coscientemente il rapporto tra uomo e consumi, a partire, ad esempio, da una spesa ben più consapevole e ragionata, dove il superfluo, specie quello alimentare, non si trasformi in un costo inutile e dannoso prima e in rifiuto complesso da gestire dopo. Questo periodo può anche darci indicazioni sulla parziale inutilità dello spostamento di alcune (molte) persone, laddove invece possano più sostenibilmente viaggiare le informazioni che il loro lavoro produce, anche lavorando da una casa che in questo senso può essere ripensata attraverso il potenziamento della connessione, l’utilizzo di controlli elettronici delle apparecchiature in remoto e magari il suo comfort, la sua bellezza e la sua maggiore sostenibilità energetica. Quante riunioni telematiche sono state fatte in questi mesi senza prendere aerei, treni, autobus metropolitane, ascensori o semplicemente la propria macchina?

Diventeremo migliori, o continueremo a lavarci le mani?

Molti dicono che dopo questa pandemia niente sarà più come prima. Io non ne sono convinto. Come dopo una malattia il tempo pian piano ci fa dimenticare e se non facciamo nulla di significativo torneremo esattamente sullo stesso insostenibile cammino. Ma forse oggi siamo un poco più attenti ed allora non è il caso di sfruttare al massimo questa anomala condizione e di provarci a iniziare a rivedere il nostro comportamento? Lo possono e devono fare i politici certo. Ma lo possiamo, se lo vogliamo, iniziare a fare prima noi.

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